Autunno tedesco
– Stig Dagerman –
“Un giornalista non lo sono diventato ancora e, per quanto ne so, non lo diventerò mai. Non ho voglia di acquisire tutte le deplorevoli qualità che costituiscono un perfetto giornalista. Faccio fatica a capire quelle persone che incontro negli hotel che gli alleati mettono a disposizione della stampa, persone secondo cui un piccolo sciopero della fame è più interessante della fame di molti. I tumulti per la fame sono sensazionali, ma la fame non è sensazionale e quel che pensa la gente affamata e amareggiata diviene interessante solo quando la povertà e l’amarezza esplodono in una catastrofe. Il giornalismo è l’arte di arrivare troppo tardi il più in fretta possibile. Io non la imparerò mai”
Formato: Copertina flessibile
Giudizio Sintetico
Stieg Dagerman è riconosciuto come uno dei più importanti scrittori e giornalisti della prima metà del 900, colui che ha saputo raccogliere e condividere, in modo lucido e finalmente oggettivo, uno dei primi reportage dalla Germania del dopoguerra, una Germania devastata, distrutta e spartita come un vero e proprio bottino di guerra.
Dagerman giunge in Germania il 15 di Ottobre del 1946 e raccoglie testimonianze e “cartoline” fino al 10 Dicembre dello stesso anno, visitando alcune delle città rese irriconoscibili dai bombardamenti alleati: Amburgo, Berlino, Hannover, Dusseldorf, Essen, Colonia, Francoforte, Heidelberg, Stoccarda, Monaco, Norimberga e Darmstad.
Su incarico del quotidiano Expressen, svedese come il giornalista, Dagerman si spinge dove in pochi, fino a quel momento, avevano avuto il coraggio di andare: visitare, ascoltare e osservare la popolazione tedesca e riportare, in modo sincero, la condizione del popolo germanico.
“I soliti corrispondenti accreditati erano del tutto dipendenti dalla collaborazione con le potenze occupanti e questo rappresentava un peso che impediva la libertà dei giornalisti”
A differenza di altri reporter e scrittori, che hanno preferito lasciare la realtà sepolta dalle macerie, Dagerman riporta con sincerità e lucidità, le conseguenze di una guerra totale e distruttiva che ha lasciato segni profondi nel cuore della nazione vinta.
Le domande a cui Dagerman prova a dare risposta sono molteplici e, ad ognuna, cerca, attraverso il contatto diretto con la realtà, di fornire risposta.
Troviamo così bambini affamati in cantine allagate, la situazione dei profughi tedeschi che vengono obbligati a spostarsi da Est a Ovest, la prostituzione, il mercato nero, la moralità ma anche la politica, con le diverse fazioni e il disorientamento, l’opera fasulla di denazificazione con processi che possono essere “acquistati”, la delusione degli antifascisti tedeschi, ma anche la diffidenza verso gli occupanti e nei confronti del vicino, le accuse e la lotta tra poveri.
“Eppure gli inglesi avrebbero potuto aiutarci. Hanno avuto un’opportunità di mostrare cos’è una democrazia, ma non l’hanno sfruttata. Vede signor D., sarebbe diverso se noi tedeschi avessimo vissuto nel lusso e nell’abbondanza durante gli anni di Hitler, ma eravamo poveri signor D. E non abbiamo perso tutto? Case, famiglie, averi. Credete che non abbiamo sofferto sotto i bombardamenti? E’ necessario punirci ancora? Non siamo stati puniti abbastanza?”
Una visione, per nulla scontata nel 1946 e attuale ai giorni nostri, che aiuta ed apre a riflessioni variegate e mai scontate, capace di evidenziare come, in una nazione vinta, aleggi un sentimento di nostalgia al benessere ma anche una dignità inscalfibile.
La Germania, che come nazione viene vista dal mondo come obbligata a pagare il prezzo della sconfitta e dell’intera guerra, è umiliata e continua a dover patire la fame rallentando il processo di ricostruzione e di rimpatrio dei prigionieri di guerra.
La popolazione teme i russi ma anche gli americani, ha fame ma non accetta di piegarsi, la politica è debole e gli schieramenti poco credibili.
Lo scontro generazionale tra vecchi, accusati di aver portato al nazismo, e giovani, accusati di aver assaporato ed essere cresciuti solo conoscendo la dittatura, sembra non portare a nulla e, l’analisi che Dagerman scrive e riporta al lettore, rende l’idea delle difficoltà che hanno portato alla rinascita di questa nazione che, ricordiamo, è tornata unita solo nel 1989.
Una visione reale, scritta in modo semplice ma dai grandi contenuti politici, sociali e di attualità, dal grande peso riflessivo e dall’innovativa oggettività che, in quegli anni, mancava ad ogni reporter, in qualche modo toccato dalle idee politiche della propria nazione.
“Tutti qui dentro sappiamo come si faceva a diventare una SS. Qualcuno diceva: Tu, Karl, che sei alto un metro e ottanta, andrai nelle SS, e Karl entra nelle SS. Tutti combattono per la propria patria e la ritengono una cosa ammirevole, perchè noi dobbiamo essere puniti dopo aver combattuto per la nostra Germania?”
Commovente la conclusione dello scrittore che, una volta a bordo dell’aereo che lo porterà in Svezia, riflette su chi è obbligato a restare e a soffrire per sopravvivere, per provare a rinascere dalle ceneri di quelle città che lui stesso ha visto da vicino.
“Autunno tedesco” è uno spaccato di due mesi che rimanda però al lettore il profondo significato etico e morale degli sconfitti, scritto da una penna oggettiva e autentica.
Uno scritto drammatico ma completo perché sfiora, con grande capacità, tutti gli spazi di difficoltà della nazione tedesca: sofferenza, popolazione, morale, politica, diversità generazionali e di pensiero, ecc.
“Tremilacinquecento metri. I cristalli di ghiaccio si infittiscono sul finestrino. La Luna è alta, circondata da un anello di freddo. Ecco la cartina che indica la nostra posizione: voliamo su Brema, ma Brema non la si vede. la città martoriata è nascosta sotto spesse nubi, impenetrabilmente nascosta come la muta sofferenza tedesca.”
Stig DAGERMAN
Nato nel 1923, segnato da una drammatica infanzia, considerato il “Camus svedese”, in perenne rivolta contro la condizione umana, anarchico viscerale cui ogni sistema va stretto, militante sempre dalla parte degli offesi e umiliati, incapace di accontentarsi di verità ricevute, resta nella letteratura svedese una di quelle figure culto che non si smette mai di rileggere e di riscoprire. Dal 1946 scrisse quattro romanzi, quattro drammi, poesie, racconti, articoli, sceneggiature di film, che continuano a essere tradotte e ristampate. Bloccato da una lunga crisi creativa e angosciato dal peso delle enormi aspettative suscitate dal suo talento, si uccise nel 1954.