Dovevo chiamarmi Irene
– Simona Mangiapelo–
Formato: Copertina flessibile
Genere: Romanzo
Pagine: 97
Editore: Scatole Parlanti
“La pace non abita nei nomi”, eppure Nina crede che in quel suono che per puro caso le è stato assegnato alla nascita sia racchiuso il suo destino, sbagliato, ingiusto, perché lei avrebbe dovuto chiamarsi Irene. E Irene significa “pace”. In questo diario, avvolgente e drammatico, la narrazione di Nina si mischia a quella del figlio, Michelangelo, ragazzo geniale ma sfigurato a causa di un incidente domestico avvenuto in precoce età: due voci che si rincorrono ma che non riescono mai a incontrarsi. Nina ripercorre la sua vita dall’infanzia, cerca di redimersi attraverso la scrittura, annota fatti e sensazioni, la sua dualità di donna divisa tra la maternità e il desiderio di essere amata, cercando di scorgere quella verità, dolorosa ma salvifica, che risiede nell’accettazione di essere unicamente ciò che siamo, al di là del bene e del male.
Quanto può influire il nome che portiamo nel corso della nostra vita? Quanto un cambiamento casuale proprio nella scelta del nostro nome può convincerci che dal principio le cose sarebbero potute andare diversamente?
Aprendo il romanzo “Dovevo chiamarmi Irene”, la percezione che abbiamo è quella di essere immersi fin da subito in una storia interrotta, intrisa di rimpianti, rimorsi e tanta sofferenza.
I protagonisti sono due: Nina, che avrebbe dovuto chiamarsi Irene e che per un gioco del destino così non è stato, e Michelangelo suo figlio.Nel primo capitolo si intuisce che il ricovero del figlio e la sua sofferenza sono stati un peso troppo grande per la madre che, presa dallo sconforto e dalla necessità di imprimere la sua storia su delle pagine, ha scritto un diario a cui il figlio ha aggiunto, nel corso della vita, delle annotazioni a margine.
Il risultato di questa lettura, che ci viene narrata nella prima parte di questa storia, è la costruzione di un legame che passa attraverso il racconto di una vita, gli errori che fanno parte di essa ma soprattutto di quei sentimenti e di quelle scelte che nutrono i sensi di colpa capaci di colpevolizzare noi stessi rendendoci schiavi di un’assoluzione che non riusciamo a darci.
Leggere la storia di Nina e scoprire quella di Michelangelo attraverso le note a margine, fa apparire questo romanzo come un vero e proprio diario che rappresenta il dialogo interrotto e mai esistito tra una madre e un figlio.Oltre a delinearsi una storia graffiante e a tratti molto dolorosa, è dolce assistere al figlio che si interroga e prova a darsi delle risposte proprio nei confronti di quella madre che così tanto si è colpevolizzata per il male che gli ha fatto, raccontando a sua volta fatti salienti riflessioni della propria esistenza dove la madre rappresenta una presenza molto più forte di quanto si possa pensare.
Quello che non ci si aspetta avviene nella seconda parte di questo romanzo che scardina tutto ciò in cui abbiamo creduto nelle pagine precedenti dando una nuova prospettiva che serve forse a mettere un punto d’inizio nei confronti di una pace con se stessi di un perdono che auspichiamo possa avvenire.
”Dovevo chiamarmi Irene” è un romanzo scritto in modo eccellente ma soprattutto raccontato con una capacità empatica tale da legare il lettore alla storia di Nina e di suo figlio, facendo penetrare le emozioni e rendendo autentica una sofferenza che sentiamo viva e pulsante in ogni pagina, condita di rimpianti, rimorsi ma anche di tutta quella dolcezza che una madre vive nel momento stesso in cui mette al mondo il proprio figlio.
Leggere queste pagine, che sono poco meno di un centinaio, vuol dire intraprendere un viaggio emozionale che parla di amore ma soprattutto del desiderio di essere amati, di essere perdonati ma anche della potenza di legami che vanno al di là della vita, della malattia e della morte, pagine dense di significati che ogni lettore può carpire e fare propri, emozionandosi e commuovendosi di fronte alle strade impreviste e alla severità che imponiamo a noi stessi quando invece chiediamo solo di essere perdonati e di saperci amare come meritiamo.
Simona Mangiapelo è nata in provincia di Roma, dove vive e lavora come farmacista. Ha vinto il concorso letterario della rivista “Confidenze” (Mondadori) con il racconto La notte di San Lorenzo. Altri suoi racconti sono stati pubblicati in antologie per Sensoinverso e Historica Edizioni. Ha seguito un corso di scrittura della Scuola Holden e frequentato la Scuola Omero e la Scuola Genius. Ha pubblicato il suo primo romanzo, Di nessuno, nel 2017, con Alter Ego Edizioni.