L’ultimo detenuto
– Anthony hill –
“Non sono mai finito a lavorare in catene. Non ho segni fi frusta sulla schiena. “
Il sistema penale aveva instillato il timore di Dio in Samuel Speed, ma questo era un altro segreto che avrebbe tenuto per sé.
Formato: Copertina flessibile
Genere: Romanzo
Pagine: 353
Giudizio Sintetico
Il nuovo best-seller di Anthony Hill questa volta ci racconta la storia dell’ultimo galeotto ancora in vita deportato nella colonia australiana dall’Inghilterra.
Il sempre accurato lavoro di ricerca di Hill ci porta a conoscere Joshua Cribben, giornalista del Mirror che nel 1938 intervista il novantottenne Samuel Speed.
La storia di Speed partirà dalla sua adolescenza, narrando le difficoltà di un giovane dell’Inghilterra dell’epoca. Sarà così che lui e l’amico Tommy Jones prenderanno la decisione d’incendiare un magazzino, pur di farsi arrestare e avere un tetto e un pasto caldo in prigione.
Purtroppo per i due il loro gesto disperato avrà conseguenze più pesanti del previsto: il giudice li condannerà a sette anni di detenzione, dei quali due da scontare in Inghilterra e cinque da deportati nella colonia australiana.
L’autore ci porterà nell’incredibile vita del giovane Speed, nella sua detenzione britannica, nel viaggio verso la colonia, e nella nuova vita da ex carcerato.
Il libro si fa carico dell’ultima vera testimonianza di una storia di un secolo fa che trova riscontri anche in questi tempi moderni.
Un vecchio, un uomo ultra novantenne in una casa di riposo a cui non rimane nemmeno la vista, solo pochi odori che parlano di un passato lontano capace di condizionare ancora il ritmo del presente.
Ma chi è quest’uomo?
Hanno appena finito di lavarlo per un appuntamento importante che però egli fatica a ricordare.
Deve rilasciare un’intervista al Mirror, il suo nome è Samuel Speed, classe 1840, prigioniero numero 8996, ed è lui “L’ultimo detenuto”.
Ormai abituato a vedere scandita la propria vita da campanelle e orari, ora l’uomo sta passando i suoi ultimi anni nella Residenza, la sua nuova casa, un luogo che unisce anziani e persone in difficoltà.
L’incontro con il giornalista lo turba, gli è stato detto però chiaramente che questa intervista potrebbe giovare economicamente alla struttura e lui, che a quel posto ormai deve tutto, è pronto a raccontare, forse omettendo le parti più dolorose, lo fa per tutti i suoi compagni, per chi lo accudisce per soli due penny, ma forse anche un po’ per se stesso.
E anche se avrebbe preferito farlo in modo diverso, essendo costretto a letto, coperto e debole, qui Sam inizia a narrare la sua storia a Joshua Cribben, partendo da molto lontano, da quelle miniere che, a seguito di un infortunio, è costretto a lasciare.
Sono gli anni 60 dell’800, il lavoro nei campi è inesistente e la fame diviene la compagna quotidiana di questo giovane di diciotto anni.
I ripetuti rifiuti, le difficoltà nel trovare un impiego e i morsi della fame onnipresenti, spingono il ragazzo e un amico, Tommy Jones panettiere disoccupato ed ex soldato, a dar fuoco a un fienile per venire imprigionato e avere un pasto assicurato, anche privandosi della libertà.
Ma le cose non vanno esattamente come sperato e Sam si vede condannato a una dura e lunga pena di sette anni, due da scontare nel Regno Unito e cinque in Australia.
Inizia così un’odissea, una nuova vita, una condanna autoinflitta, e una serie di racconti che ci vengono narrati in tutta la loro potenza, una storia lunga una vita che diviene l’ultima e importante testimonianza dei deportati carcerati esiliati in Australia.
Quella narrata ne “L’ultimo detenuto” è una storia vera da cui emerge la povertà, la fame, il difficile sopravvivere di due ragazzi che investono i pochi spiccioli che hanno per un piano che sarà l’inizio della fine.
È una storia lenta, complessa e articolata ma potente e commovente, un rivivere le emozioni testimoniando un passato che attraversa un giornalista (che la raccoglie nel 1938), un autore, e due secoli per arrivare a noi.
Mi ha colpita molto, in tutta la sua crudeltà, la storia di questi due ragazzi, ma soprattutto di Sam, che ha barattato la libertà con una ciotola di sbobba decidendo poi di scambiare la difficoltà fisica con quella psicologica che lo accompagnerà poi per tutta la vita.
Passo dopo passo ci addentriamo in una storia non così lontana di detenuti costretti ad affrontare un viaggio e le colonie penali, luoghi che è difficile immaginare ma su cui ci si può ancora ampiamente documentare.
Partendo dal castello di Oxford, dalla nebbia, dalla fame, la privazione dell’identità si unisce alla consapevolezza che l’interlocutore di Sam non potrà mai capirlo pienamente così come, in fondo, neanche noi lettori sapremo mai cosa ha realmente provato, possiamo solo quindi abbandonarci al suo racconto.
E anche se alcuni aneddoti appaiono quasi goliardici, tra queste pagine emerge in tutta la sua crudeltà, il sistema carcerario dell’epoca che aveva come fine ultimo non la riabilitazione del detenuto ma la punizione in tutta la sua brutalità.
Uno spaccato storico devastante, anche ricco di ribellioni soffocate a cui assistiamo, dove la speranza lascia lentamente spazio alla rassegnazione anche dopo il rilascio con la condizionale nel 1869 e il permesso di vivere fuori dalle mura della prigione assumendo un impiego, a condizione di non commettere ulteriori reati ottenendo, dopo due anni, il certificato di libertà.
Sam ha poi continuato ad aiutare a costruire ponti attraverso il vasto fiume Swan trascorrendo il resto della sua vita lavorativa in varie società in tutto lo stato, non è mai stato condannato di nuovo per alcun reato e ha vissuto una vita perfettamente ordinaria e rispettosa della legge, arrivando all’attenzione dei giornali solo pochi mesi prima della sua morte proprio quando un giornalista lo intervistò per il Mirror.
Questo libro è proprio la trasposizione romanzata e arricchita di quell’intervista.
L’ultimo detenuto non è una lettura semplice e nemmeno superficiale, il contenuto, seppur romanzato, è scritto in modo approfondito, attento e permette di farsi un’idea dei fatti accaduti a 360°.
Questa è soprattutto un’importante testimonianza che unisce ai dettagli tipici del giornalismo la grande potenza delle emozioni narrate riuscendo a far emergere il racconto di un uomo che, in fondo, non aveva fatto nulla.
Indubbiamente quello di Anthony Hill è stato un lavoro di ricerca e approfondimento minuzioso, reso magistrale dalla forma scelta per la narrazione dei fatti.
Quella di Samuel Speed è una storia tra le tante ma una delle poche documentate che abbiamo il dovere e la fortuna di conoscere e che Pessime Idee, editore giovane che focalizza le sue pubblicazioni su storie vere, ha portato in Italia con un’edizione completa di note storiche e bibliografiche.
Anthony Hill è uno scrittore australiano, autore di diversi bestseller e vincitore di numerosi premi.
Il suo “Soldier Boy”, romanzo sull’Anzac (Australian and New Zealand Army Corps), vinse nel 2002 il NSW Premier’s Literary Award per la sezione libri Young Adult.
“Captain Cook’s Apprentice” ha vinto, nel 2009, il NSW Premier’s Young People’s History Prize.
“Young Digger”, “Animal Heroes” e “For Love as Country” testimoniano la sua abilità nella ricerca di materiale storico e mettono insieme caratteristiche narrative di storie movimentate e dinamiche.
Anthony Hill è anche autore di due racconti, “Shadow Do” e il pluripremiato “The Burnt Stick”, illustrato da Mark So las, così come “Lucy’s Cat and the Rainbow Birds”, illustrato da Jane Tanner.