M, il figlio del secolo
– Antonio Scurati –
“Mussolini esulta ma sbalordisce di fronte all’improvviso cambio di bandiera di quei braccianti fino a ieri socialisti e oggi fascisti. Sente la grandezza dell’ora eppure in lui una fibra nascosta di angosciato presentimento trema di fronte alla rapidità del capovolgimento nella fedeltà dei popoli. Effimero o duraturo? Esteriorità o sostanza? Un’ondata che passa o qualcosa che resta?”
Formato: Copertina flessibile
Giudizio Sintetico
Ricordo perfettamente il momento in cui i miei occhi hanno incontrato per la prima volta la copertina di “M, il figlio del secolo” sul sito internet Bompiani, un invito a scoprire quel volume che si presentava come il primo romanzo dove di inventato non c’è nulla, dove Mussolini è il protagonista indiscusso e dove, tra il 1919 e il 1925, si sono poste le basi di una storia che credevamo di conoscere ma che mai nessuno ci ha raccontato così.
Non è facile, dopo più di ottocento pagine, polemiche giornalistiche, sottolineature degne dei migliori mesi di studio e un entusiasmo costante che non mi ha mai abbandonata, scrivere questa recensione; Il rischio è quello di non riuscire ad analizzare come vorrei l’immenso contenuto e la grande importanza di questo romanzo, mi scuso fin da ora per il flusso infinito di parole che userò.
Non ho intenzione di nascondere il fulcro del mio pensiero fin da ora: “M il figlio del secolo” è, secondo me, un libro meraviglioso, un punto di vista insolito, non ingessato, narrato con un linguaggio semplice e apprezzabile da chiunque, scorrevole, coinvolgente e importante per capire i passaggi fondamentali compiuti da quell’uomo che ci ha resi, comunque, quello che siamo.
Io sono lo sbandato per eccellenza, il protettore degli smobilitati, lo sperduto alla ricerca della strada. Ma l’azienda c’è e bisogna portarla avanti. In questa sala semivuota, dilatate le narici, fiuto il secolo, poi tendo il braccio, cerco il polso della folla e sono sicuro che il mio pubblico ci sia
Sembra di vederlo, il figlio del fabbro, con i pugni sui fianchi e lo sguardo iniettato di sangue, l’aspirazione ad essere il più grande, il più forte e il più meritevole, sembra di sentire le sue sfuriate, i discorsi di fronte a poche persone prima e molte poi, il suo modo di essere e ciò che è divenuto in sei anni, la violenza nell’amore e la rabbia nella politica, la superbia nei confronti del prossimo e l’arroganza nei confronti di chi non la pensa come lui, la determinazione nel perseguire gli obiettivi prefissati, i cambi di rotta, e il potere bramato e poi ottenuto con mezzi discutibili.
L’Italia che troviamo ad inizio romanzo è un’Italia ferita nell’orgoglio, un paese lacerato e stanco della vecchia politica, spaventato e affascinato da quel socialismo violento che promette la rivoluzione, cresce nelle campagne e manifesta nelle città.
Benito Mussolini è un direttore estromesso, un uomo che ha cambiato idea e che ne paga le conseguenze, un giornalista che vuole fare politica e che cerca di parlare alla pancia di ex combattenti, di reduci dimenticati e scontenti, uomini che potrebbero accompagnarlo nella fondazione di quei Fasci di combattimento utili ad arginare il pericolo socialista.
Benito Mussolini non è però uno stupido, è un pensatore e uomo d’azione, “un oratore persuasivo e vivace, potrebbe diventare un condottiero, un picchiatore temibile” (Rapporto generale di pubblica sicurezza, primavera 1919), un uomo che non ha paura di osare e che presto farà quella rivoluzione che altri non hanno avuto il coraggio di fare.
Con queste premesse Antonio Scurati ci narra la storia di quest’uomo, senza inventare nulla, riportando unicamente fatti accaduti, estratti di dialoghi e lettere autentiche, ci permette di leggere e conoscere in modo inusuale la parabola di Mussolini e del fascismo, degli uomini e delle donne (soprattutto amanti) che l’hanno accompagnato e sostenuto, oppure contrastato, e il coraggio di chi l’ha denunciato pubblicamente; ci porta a comprendere il clima di guerra civile, di violenza, di tensione, di conquista delle masse e di sete di potere, ci porta nei palazzi di governi incapaci, inoffensivi, nelle piazze di scontri e violenze, nelle campagne di omicidi e vendette, continue rappresaglie, faide politiche dove vige un “occhio per occhio sociale”, una vera e propria guerra civile tra fazioni violente, vendicative, dove vince (e ha vinto) lo stratega meglio armato e forse più deciso e dove hanno perso i non violenti come Matteotti o i civili innocenti come la piccola Leontina Rossi vittima della “strage del Diana” del 1921 compiuta a Milano dagli anarchici.
Un clima di odio bipartitico dove non si dibatteva ma si uccideva e dove il futuro di quella stessa gente ha pagato il prezzo più alto.
Raccoglie estratti di lettere, corrispondenze dello stesso Mussolini ma anche di Matteotti, Turati, dell’amante Sarfatti; riporta entusiasmi di giornali esteri e paure e sostegno di quelli nostrani.
La narrazione, che procede spedita e avvincente, offre uno sguardo autentico sui numerosi eventi che coprono cinque anni di storia italiana, plana come D’Annunzio, sugli eventi storici offrendo con coraggio la lettura di una storia che pensavamo di conoscere e che invece scopriremo in modo diverso e di cui è impossibile dare “spicchi” di contenuto per l’immensità del bagaglio storico contenuto in essa.
Non mi soffermerò sulla polemica sterile relativa a dieci errori che Scurati ha commesso all’interno del suo romanzo, dieci errori che non sono nulla rispetto all’immensità del dono che fa ai lettori.
Se dovessimo analizzare i personaggi di questo romanzo dovremmo parlare di un uomo al centro circondato e diviso tra amore e politica, tra moglie e amanti, tra i fedelissimi e gli oppositori, tra popolo e potere.
Dovremmo parlare dell’Italia del 1919, dell’orgoglio ferito e di povertà, rabbia e voglia di cambiamento.
Dovremmo parlare di un uomo dall’intelligenza fine, capace di bluffare con chiunque e con più persone contemporaneamente; un uomo dagli innumerevoli mezzi e metodi che non disdegna ma poi condanna la violenza, un uomo determinato, carismatico, magnetico che sembra toccare il fondo più volte ma capace sempre di rialzarsi più forte di prima e con obiettivi all’apparenza sempre più irraggiungibili.
Un romanzo dove il finale sembra chiudere definitivamente l’ascesa di un uomo ma dove una scena all’ultimo minuto riapre la partita.
Diremmo che la storia è ben scritta, ben pensata e stilisticamente perfetta, diremmo che il protagonista spaventa ma anche affascina, diremmo che Mussolini appare folgorante affascinante e che la storia è ombrosa, violenta ma avvincente.
Potremmo dire tutto questo se non fosse che il destino di questo romanzo lo conosciamo e lo condanniamo quotidianamente, se non fosse che le conseguenze di questa storia hanno condizionato le vite dei nostri nonni, dei nostri padri e condizionano ancora oggi le nostre.
Un grande plauso a Scurati che regala una storia conosciuta ma scritta sotto una luce diversa, fruibile e coinvolgente, da leggere lentamente ma che vien voglia di divorare, ricca di punti di vista nuovi e approfonditi, che ha il grande merito di aver avvicinato alla storia tantissime persone.
Non ho mai sottolineato, segnato, scritto, riletto e approfondito un libro come mi è capitato con “M, il figlio del secolo” anche e soprattutto perché mai nessuno, prima d’ora, aveva ritratto Mussolini per ciò che è stato al principio, il figlio di un secolo, il prodotto della nostra storia, che ha cambiato non solo l’Italia ma il mondo intero.
Antonio Scurati
Nato a Napoli nel 1969, Antonio Scurati è docente di Letterature contemporanee presso la IULM di Milano, dove dirige il Master in Arti del Racconto. Per anni ha coordinato il Gruppo di Ricerca sui Linguaggi della Guerra e della Violenza dell’Università di Bergamo. È anche editorialista de “La Stampa” e autore di numerosi saggi, tra i quali ricordiamo La letteratura dell’inesperienza (Bompiani, 2006). Ha esordito nel 2002 con Il rumore sordo della battaglia (premio Kihlgren, premio Fregene, premio Chianciano). Nel 2005, con Il sopravvissuto, ha vinto la XLIII edizione del premio Campiello e nel 2008, con Una storia romantica, il Mondello. Della sua vasta produzione, tradotta in molti paesi, ricordiamo Il bambino che sognava la fine del mondo (2009), La seconda mezzanotte (2011), Il padre infedele (2013) e Il tempo migliore della nostra vita (vincitore sia del premio Viareggio sia, di nuovo, del premio Selezione Campiello).