Emily Dickinson e i suoi giardini
Le piante e i luoghi che hanno ispirato l’iconica poetessa
– Marta Mc Dowell –
Formato: Copertina rigida
Emily Dickinson era un’attenta osservatrice del mondo naturale. Meno noto è il fatto che era anche un’appassionata giardiniera, che inviava mazzi di fiori freschi agli amici e nelle sue lettere fiori pressati. Nella casa famigliare di Amherst, Massachussetts, curava un piccolo giardino d’inverno insieme al grande giardino intorno alla dimora.
In “Emily Dickinson e i suoi giardini”, Marta McDowell scandaglia la profonda passione che la poetessa nutrì per le piante e il modo in cui ispirarono e caratterizzarono le sue opere.
Seguendo lo scorrere di un anno nel giardino, il libro rivela particolari poco conosciuti della sua vita e ci aiuta a capire meglio la sua anima.
Giardiniera emerita presso l’Emily Dickinson Museum, in questo volume Marta McDowell alterna i testi con poesie e brani tratti dalle lettere di Emily Dickinson, affiancando vecchie e nuove fotografie a illustrazioni botaniche per inquadrare da una prospettiva inedita una delle figure letterarie americane più celebri ed enigmatiche.
Emily Dickinson nacque il 10 dicembre 1830 da una famiglia molto in vista di Amherst, nel Massachusetts, dove trascorse l’intera esistenza, confinandosi, negli ultimi anni, nella propria stanza, in un isolamento volontario, a un tempo eversivo e difensivo della sua ininterrotta sperimentazione poetica.
Uniche uscite nel «mondo» un viaggio a Washington nel 1855 (quando con la sorella Lavinia si recò a far visita al padre Edward, deputato al Congresso), e brevi soggiorni a Filadelfia, a Boston e a Cambridge.
I suoi studi non furono regolari: frequentò prima l’Accademia di Amherst e poi, nel 1847-48, il seminario femminile di Mount Holyoke (South Hadley), che abbandonò dopo aver compiuto il suo primo gesto eretico: il rifiuto a professarsi pubblicamente «cristiana».
Rare e intense anche le amicizie nella sua vita, quasi esclusivamente con persone nelle quali la D. cercava una sorta di verifica al suo esercizio di poesia, iniziato subito dopo l’allontanamento da Mount Holyhoke: tra coloro che definì «tutori» o «maestri» sono Benjamin Newton, praticante nello studio legale di suo padre, e il reverendo Charles Wadsworth, col quale ebbe rari incontri e un’intensa corrispondenza e la cui partenza per la California segnò una frattura nel suo universo affettivo.
Con quest’ultima circostanza coincise, verso il 1860, la grande esplosione della poesia della D. che, separata dal mondo, si immerse nella contemplazione della natura (così come si presentava al suo sguardo visionario nel microcosmo del giardino paterno), nella meditazione dei grandi temi biblici, nello studio dei testi preferiti – Shakespeare, i metafisici, gli scritti di mistici, Keats, Browning, Emerson, Elizabeth Barrett, Emily Brontë – e soprattutto nella quotidiana scrittura dei versi.
Nel 1862 inviò quattro poesie a Thomas Higginson, critico dell’«Atlantic Monthly», che ne rimase sconcertato, non riuscendo a comprendere la novità di quei versi, difformi dal gusto corrente, «sfrenati» e «spasmodici». Alla lunga corrispondenza che si stabilì tra i due, fece seguito l’incontro nella casa di Amherst, da Higginson commentato con uguale stupore. Fino alla morte, l’avventura interiore della D. fu rischiosa e intensa nello svolgersi di giorni apparentemente statici: gravi lutti, un’ultima amicizia, con il giudice Otis P. Lord, e le oscillazioni quotidiane tra l’estasi e l’ansia sono registrate nelle Lettere (Letters, apparse postume, nel 1958).
La D. è considerata oggi tra i più grandi lirici moderni.
Gran parte della sua produzione poetica riflette e coglie non solo i piccoli momenti di vita quotidiana, ma anche i temi e le battaglie più importanti che coinvolgevano il resto della società.
Il suo amore per la natura traspare da tutte le sue poesie.
Al momento della morte non erano state pubblicate che 7 sue poesie, ma il lascito di 1775 componimenti poetici fu prova evidente della vastità del suo lavoro, in seguito riconosciuta dal mondo intero.
La sua opera apparve solo in varie edizioni postume fino al 1955, anno della prima e completa edizione critica. Nei suoi versi si riflette, nonostante l’isolamento fisico dell’autrice, il dramma intellettuale e morale dell’America del suo tempo (il contrasto tra la visione fervida di Emerson e quella tragica di Hawthorne, fra la tradizione puritana del New England e un moderno individualismo esistenziale), espresso in forma di cristallina, straziante lucidità.
La forza e la modernità della poesia della D. si sono imposte alla critica per gradi successivi. Primario è stato lo studio dei grandi temi (l’amore, la morte, la natura magica e disintegratrice, l’incontro con il Dio assente) e le polarità (astratto/concreto; quotidiano/eterno; deperibile/immortale) del suo discorso lirico.
È seguita l’analisi delle anomalie grafiche, metriche, ritmiche, sintattiche, lessicali, del suo linguaggio, coerente, in questa volontaria trasgressività, con la sua visione di eretica, lucida testimone di una società dibattuta tra declinante puritanesimo e insorgente capitalismo.
Si è, infine, colta nelle singolari reti di immagini, metafore, simboli ricorrenti di lirica in lirica, una possente invenzione di mitopoietica, che fa della poesia della D. una sorta di moderna cosmogonia.
Morì il 15 maggio 1886.
Fonti: Archivio Elliot Edizioni; Enciclopedia della Letteratura, Garzanti 2007.