La lotteria
– Shirley Jackson, Myles Hyman –
“L’ho letto mentre facevo il bagno… e sono stata tentata dall’idea di mettere la testa sott’acqua e farla finita”.
Camilla Ballou, lettrice, 1948 lettera al New Yorker su “La Lotteria” di Shirley Jackson
Formato: Copertina rigida
Il racconto di Shirley Jackson intitolato “La lotteria” ricorda da vicino, per la fama che lo circonda, la famigerata lettura radiofonica della Guerra dei Mondi di Orson Welles. Fama non immeritata, giacché la pubblicazione sul “New Yorker” nel 1949, scatenò un pandemonio. Molti lo presero alla lettera, reagendo all’istante e poi per lungo tempo con missive indignate o atterrite alla redazione. Certe cose non potevano, non dovevano succedere. Eppure la storia si presenta in tutta innocenza quale pura e semplice descrizione della lotteria che si svolge nell’atmosfera pastorale, quasi idilliaca, di un villaggio del New England in un luminoso mattino di giugno, come ogni anno da tempo immemore. Ma giunto al termine di questo racconto, come degli altri che compongono l’intensa silloge qui proposta, il lettore scoprirà da sé, in un crescendo di “brividi sommessi e progressivi” – come diceva Dorothy Parker che cosa li rende dei classici del terrore. Secondo un altro illustre ammiratore della Jackson, oltre che maestro del genere, Stephen King, lo sono perché “finiscono con una svolta che porta dritto in un vicolo buio”.
Se chiudo gli occhi riesco ad immaginare le facce dei lettori del New Yorker che, nel 1948, lessero per la prima volta “La lotteria” un racconto di Shirley Jackson ambientato nella più ordinaria comunità rurale in cui la lotteria rappresenta l’appuntamento fisso del 27 Giugno.
Tutti chiacchierano di raccolto e avvenimenti, i bambini giocano e corrono radunando sassi e intanto si apprestano ad avvicinarsi al punto in cui dalla scatola nera verranno estratti i foglietti.
L’atmosfera serena inizia però a tramutarsi in qualcosa di inquietante, come il cielo quando assume quelle sfumature che vanno dal grigio al giallo.
Perché quello non è un 27 Giugno come gli altri e quella lotteria è tutto fuorché ordinaria!
Che dire, i racconti della Jackson riescono a spiazzare, stupire e inorridire.
Il lato inumano di persone ordinarie che sconvolgono la trama apparentemente “normale”. Shirley Jackson ha scritto di avere avuto l’ispirazione per questo racconto terrificante mentre andava a fare la spesa con suo figlio in carrozzina e osservava le facce dei vicini di casa. “immaginato e raccontato la normalità dell’orrore, dell’aggressività, della violenza: l’umanità è questo, e l’umanità accetta di uccidere a pietrate ogni anno la persona sorteggiata nella lotteria: in tempo per il pranzo di mezzogiorno.” Miles Hyman, nipote della Jackson, apprezzato illustratore che ha collaborato anche con Louis Vuitton, ha omaggiato la nonna con questa Graphic Novel che, devo dire, è davvero meravigliosa, in ogni sua sfumatura!
Nacque a San Francisco, California, il 14 dicembre 1916. A volte la sua nascita viene collocata nel 1919, equivoco nato a causa della stessa Jackson, che non voleva risultare più vecchia del marito, nato proprio nel 1919. Il padre, Leslie Jackson, lavorava per una ditta litografica, e la madre, Geraldine, era una casalinga.
Nel 1923 la famiglia Jackson si trasferì a Burlingame, nei sobborghi di San Francisco. Qui, all’età di 12 anni, la giovane Shirley vinse il suo primo premio letterario con la poesia The Pine Tree. Nel 1930 la famiglia si trasferì nuovamente, questa volta a New York, dove la diciottenne Shirley si iscrisse alla facoltà di Arti liberali dell’Università di Rochester. Due anni dopo, nel 1936, si ritirò dagli studi a causa della depressione.
A casa si prefisse di scrivere almeno mille parole al giorno, abitudine che mantenne fino alla fine della sua vita.
Nel 1937 iniziò a frequentare l’Università di Syracuse, dove studiò Giornalismo, per poi dedicarsi alla Lingua e letteratura inglese. Pubblicò svariati articoli sulla rivista letteraria studentesca e fondò con Stanley Edgar Hyman, suo futuro marito, la rivista The Spectre. Jackson usò la sua posizione come membro del giornale accademico per difendere i diritti civili degli studenti, denunciando, tra le altre cose, la scarsa presenza di studenti di colore nella sua università e il degrado degli studentati. Si laureò nel 1940 in Lingua inglese e nello stesso anno sposò Stanley Hyman, che divenne in seguito un rispettabile critico letterario.
Un anno dopo, nel 1941, pubblicò la sua prima novella, My Life With R. H. Macy, nella rivista The New Republic.
Fin da bambina soffrì per le continue critiche, specie sul suo aspetto fisico, rivoltale dalla madre, che arrivò a definire la figlia un “aborto mancato”. Tale conflitto portò Jackson ad isolarsi dai coetanei ed a trovare conforto nella scrittura. Anche dopo il matrimonio, la madre continuò a criticarla aspramente per le sue scelte di vita, opponendosi al matrimonio con Hyman. La vita da adulta di Jackson divenne un’ostentata ribellione alla madre ed all’ambiente conservatore in cui era stata cresciuta: divenne scrittrice, ingrassò, sposò un intellettuale ebreo e trasformò la sua casa in un ritrovo per amici ed intellettuali. Il suo non fu un matrimonio felice: suo marito, che lei aveva visto come un salvatore perché l’amava ed aveva fiducia nelle sue capacità, si dimostrò maschilista, retrogrado e traditore. Quando nacque il loro primo figlio, la coppia si trasferì nel Vermont, dove era stato offerto ad Hyman un impiego presso la facoltà di letteratura dell’Università di Bennington. Fu proprio a Bennington che crebbero i loro quattro figli.
Nonostante la casa fosse spesso frequentata e resa vivace da ospiti d’eccellenza, quali Howard Nemerov, Ralph Ellison, Bernard Malamud, and Walter Bernstein, Jackson si sentiva intrappolata nel suo ruolo di moglie, ed esclusa dalla comunità. Si vendicò in seguito degli abitanti di Bennington usandoli come spunto per i barbarici abitanti del villaggio ne La lotteria.
Stanley Hyman non fu di certo un marito perfetto, però difese apertamente le opere della moglie: secondo lui, c’è stato un fraintendimento riguardo alla visione della vita da parte di Shirley; le sue crude visioni di follia, alienazione e terrore vennero interpretate come inquietudini personali, quando invece, secondo Hyman, non erano altro che rappresentazione della realtà del loro tempo: le due guerre, i campi di concentramento, le bombe atomiche ebbero un forte impatto sulla scrittrice.
I traumi infantili e l’infedeltà del marito portarono la scrittrice a fare spesso uso di alcol, tranquillanti ed amfetamine. Nel settembre del 1962, poco dopo la pubblicazione di Abbiamo sempre vissuto nel castello, Jackson ebbe un esaurimento nervoso accompagnato da un’acuta agorafobia che la trattenne chiusa in casa per sei mesi.[9] Per riprendersi impiegò due anni, durante i quali non scrisse nulla; verso la fine di questo periodo buio, cominciò a scrivere un diario pieno di aspettative per il futuro, in cui si vedeva finalmente libera dall’oppressione del marito, capace di cavarsela da sola senza paura, senza venire degradata da nessuno. Quando si riprese, Jackson cominciò a scrivere un romanzo divertente, con uno stile diverso dal solito, positivo. Purtroppo non riuscì a finirlo perché morì colpita nel sonno da insufficienza cardiaca, all’età di quarantotto anni.