La naja che non volevo
– Renato Romano –
“Nell’estate del 1985 giunse la fatidica ora della naja. Mi decisi a fare domanda di esonero dal servizio militare perché non potevo trascorrere un anno rinchiuso in caserma, lontano dalla mia passione per la musica, lontano da Maria Noè, la mia ragazza di cui ero tanto innamorato, distante dalla mia band nella quale suonavo come bassista; per cui cercavo in tutti i modi possibili di essere esentato dalla cosiddetta naja che, purtroppo, un tempo era obbligatoria.“
Formato: Copertina flessibile
Giudizio Sintetico
Ho avuto la possibilità di ascoltare qualche racconto sul servizio militare obbligatorio solamente da qualche zio o cugino; la mia generazione è stata l’ultima a vedere figli e fidanzati partire per la leva ma, fortunatamente, il mio fidanzato (ora marito), anche se dell’ultima classe richiamata prima della riforma, è riuscito a scamparla perché ancora studente.
E’ stato quindi molto piacevole, divertente ma anche a tratti graffiante accompagnare Agostino, protagonista di “La naja che non volevo” nel suo lontano viaggio, non solo alla scoperta della leva obbligatoria, ma anche alla scoperta dell’età adulta capace di arrivare in 365 giorni e sconvolgere la vita.
La naja, un tempo esperienza obbligatoria per tutti i giovani italiani, segnava il defi nitivo passaggio all’età adulta. In quei mesi si era lontani da casa – per alcuni era la prima volta in assoluto -, e si entrava in contatto con giovani provenienti da tutta Italia, e come in ogni caserma si instauravano rapporti di amicizia o di confl ittualità. Ma la naja era soprattutto orari rigidi, disciplina severa, turni di guardia massacranti, punizioni e nonnismo. Eppure in questo racconto a trecentosessanta gradi della vita militare, Renato Romano coglie tutte le sfaccettature, anche le più insolite, restituendo un quadro di un mondo che per molti aspetti aveva un ruolo positivo nella formazione delle nuove generazioni.
Siamo nel 1985 e Agostino, in prima persona, ci racconta, con un flusso di emozioni e parole, l’inizio, la continuazione e la conclusione dell’esperienza che l’ha condotto attraverso la leva obbligatoria.
Con tentativi di sabotaggio fino all’ultimo minuto e qualche amicizia capace di mescolare le carte in tavola, Agostino ci narra momenti, sensazioni e cambiamenti di un anno ricco, unico e necessario per attraversare la soglia di una nuova vita: quella da adulto.
Mamma e fidanzata sono pensieri unici e vitali per sopravvivere al primo trasferimento a Como, un Agostino ancora ingenuo e orgoglioso della sua giovane età, ci intrattiene con racconti sulla quotidianità ma anche sul desiderio febbricitante di unione con la sua bella, e con quel seno che diviene protagonista secondario della prima parte della storia.
Un elemento costante, al pari della bella Maria Noè e del suo seno, è la musica, sogno e desiderio unico di Agostino che vive e sopravvive anche grazie al pensiero di un ritorno alla sua band e a futuri successi.
Il protagonista che Renato Romano crea e dona al lettore, è un ragazzo che ben incarna l’epoca in cui vive la giovinezza, tra canzoni e storie di persone che incontra, che vive e da cui assorbe qualcosa; un connubio di elementi che riesce a divertire ma che a tratti commuove.
Anche la narrazione sembra maturare insieme al protagonista e, il tono ironico e semplice delle prima pagine, lascia sempre più spazio a maturità acquisita in passaggi ben dosati e arricchiti dallo spazio che occupano altri personaggi.
Se all’inizio della storia Agostino è unicamente legato alla madre e alla fidanzata, mano a mano che lo scorrere del tempo influisce sul cambio del protagonista, la collettività e la condivisione delle persone che incontra si fa più incidente, ed è così che conosciamo altre storie, altri sentimenti e altre personalità.
“La naja che non volevo” è un romanzo di pura narrazione, un racconto ironico ma a tratti anche commovente che ci racconta un’epoca passata, esperienza difficile ma indissolubilmente legata alla memoria perché utile ad attraversare una linea invisibile di crescita e maturità.
Renato Romano unisce alla narrazione fluida di un racconto, l’ironia e la malinconia, elementi contrastanti che invece ben si sposano con la storia di Agostino.
La presenza di storie variegate ed elementi nuovi con l’ingresso di nuovi personaggi, rende il finale veloce, coinvolgente e variegato, utile per sottolineare la diversità di quest’esperienza vissuta da persone diverse.
Un romanzo piacevole, che si legge velocemente, dove si respira aria di musica e felicità; personaggi che entrano ed escono di scena consentendo al lettore di toccare con mano il salto di maturità che compie il protagonista. Un intreccio narrativo interessante e dalle diverse tonalità indicato per chi vuole fare un tuffo nel passato attraverso gli occhi di un giovane sognatore.
Renato Romano è nato a Venezia nel 1967 e vive in Campania. È una delle giovani voci della nuova poesia contemporanea. Il suo nome figura nel Compendio degli Autori Italiani del Secondo ’900. Due le raccolte di poesie all’attivo: Lucia (1992) e Prigioniero ad Auschwitz. Poesie, 1990-2004 (novembre, 2014), che ha presentato in tutta Italia, riscuotendo notevoli consensi di critica e di pubblico. Ha in preparazione un secondo romanzo dai toni noir e una raccolta di interviste ad artisti e cantanti dell’epoca d’oro della canzone napoletana come Sergio Bruni, Roberto Murolo, Aurelio Fierro e altri. È giornalista pubblicista. Collabora, sporadicamente, a giornali, riviste e a testate online. È alla sua prima prova narrativa.